Le tendenze del futuro della sostenibilità

 
Finanza sostenibile, fonti rinnovabili e l’impatto delle tecnologie digitali: sono questi i temi trattati nella mattina del quarto appuntamento di Wired Trends 2023 dedicato alla sostenibilità
 

Il quarto ciclo di incontri di Wired Trends 2023, l’appuntamento di Wired Italia sulle tendenze e alle previsioni dell’anno che verrà, è dedicato al futuro della sostenibilità. Apre la giornata l’analisi dei dati di Ipsos sulla sostenibilità di Andrea Alemanno, partner di Ipsos Strategy3: “Oltre al Covid, negli ultimi mesi si sono aggiunte la guerra in Europa e l’inflazione, che sembrava già alta all’8%, e che ora è al 12%. Questi sono stati due elementi inaspettati – esordisce Alemanno -. Tutte le riflessioni sul tema della sostenibilità, sul climate change e sullo sviluppo sostenibile sono state messe in secondo piano dal problema contingente. Ma se abbiamo uno sguardo un po’ più lungo ci rendiamo conto che se le persone vogliono rilanciare il paese, devono pensano allo sviluppo sostenibile. Il 90% delle persone pensa che si andrà incontro a un disastro ambientale se non si cambia, quindi c’è questa preoccupazione tra le persone”. 

Negli ultimi 10 anni, secondo Alemanno, le cose sono cambiate in positivo per quanto riguarda la consapevolezza: “Le aziende che si sono professionalizzate, c’è stata una spinta molto forte e un attivismo diffuso che sta aumentando consapevolezza e competenza – continua Alemanno –. In questi 10 anni un disastro come quello avvenuto della strage di lavoratori tessili in Bangladesh ci ha fatto capire che il nostro benessere dipendeva da qualcosa che non volevamo vedere. Poi, il 2015 è stato l’anno dell’Expo in Italia e del Diesel gate. In seguito, è arrivata Greta Thunberg e il movimento dei Fridays for future. Infine, il grande alleato per cambiare il mondo: la finanza, con lo spostamento dei soldi sugli investimenti Esg, fino ad arrivare al caso Patagonia, l’azienda che ha deciso di mettere il proprio profitto a vantaggio delle aziende”. 

Secondo Alemanno, oggi nelle aziende tutto è diventato Esg, ma l’economia circolare è rimasta sotto traccia: “Da uno studio di Ipsos per cui sono stati intervistati più di 100 top manager nel mondo, è emerso che metà delle aziende Esg hanno cambiato il loro modo di fare e produrre, mentre l’81 % si sta preoccupando di cambiare. La finanza ha trovato un modo di riscattare se stessa. Sono aumentate le persone interessate, ma anche gli scettici. Quest’anno hanno infatti raggiunto il 22%, contro il 19% del 2021”. Il 48% degli intervistati pensa che i cosiddetti green jobs aumenteranno in futuro. Mentre l’economia circolare è ancora poco conosciuta: la conosce poco più del 40 % degli intervistati contro oltre l’80% di coloro che invece hanno già sentito parlare di sostenibilità. “Dentro di loro le persone hanno un’idea dell’economia circolare, ma non sembra così attrattiva a loro. Perché? Perché di solito viene raccontata in termini di risparmio, sicurezza di produzione, diffusione delle fonti rinnovabili, ma è un modo di raccontarla molto economico. Il 61% lo riconosce anche in termini di sviluppo, il 70% di tecnologia e il 77% collaborazione, ed è così che dovrebbe essere raccontato.  

Economia circolare e Raee

Di sostenibilità della transizione digitale e di riciclo dei Raee domestici e dei Rae industriali ha parlato Danilo Bonato, direttore generale della Erion compliance organization, costituita da 5 consorzi destinati a diversi ambiti: Erion Wee per i Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) domestici e professionali, Erion Professional per i Raee professionali, Erion Energy per le pile e gli accumulatori, Erion Packaging per i rifiuti di Imballaggi correlati alle Apparecchiature elettrice ed elettroniche ed Erion Care per i rifiuti di prodotti del tabacco. “Parto da uno studio di Ipsos su un campione di 1400 persone: il 54% del campione non conosce il significato di Raee, un sistema che esiste da 15 anni – interviene Bonato -. Le Aee sono tecnologie pervasive, sono dappertutto, riguardano tutto quello che funziona con energia elettrica. In Italia si conta per una media pro capite 7 chili di Raee riciclati per abitante. La media europea è di 10 chili”. 

Purtroppo a livello mondiale l’economia circolare rappresenta solo il 9%, in Italia è al 20%/21%. L’Italia si sta muovendo bene. Mettere in piedi dei processi circolare ha dei costi – continua Bonato -. Se si pensa al breve termine, questo spaventa. Il beneficio è nel medio lungo periodo. Le aziende devono evitare il greenwashing e avere ben presente il ciclo di vita”. Secondo Bonato, i Raee si riciclano con un tasso superiore al 90%. Inoltre, in uno smartphone sono contenuti più di 40 materialiè una miniera urbana. Nei Raee sono presenti molti raw material, che fanno parte dell’elenco delle 30 materie critiche dell’Unione europea. Peccato che spesso teniamo quella miniera urbana nei cassetti di casa”.

La direzione della sostenibilità

L’Italia ha fatto grandi passi avanti in alcuni campi – interviene Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, la fondazione per le qualità italiane, ex parlamentare e presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, che a Wired Trends 2023 ha parlato dei cambiamenti necessari per arrivare un mondo sostenibile -. Dobbiamo capire se in alcuni segmenti l’obbligo del riutilizzo è il sistema più efficace per raggiungere gli obiettivi di eliminazione della plastica inutile, riduzione dell’inquinamento e dei consumi energetici. Il sistema produttivo italiano è molto forte in alcuni settori dove ha delle performance sui temi dell’ambiente molto alte – continua -. Siamo una potenza europea per economia circolare: per i cittadini l’economia circolare coincide soprattutto con la raccolta differenziata urbana. Noi siamo sopra la media europea: Milano, insieme a Vienna, è prima tra le città europee sopra il milione  di abitanti per raccolta differenziata, la provincia di Treviso conta 100 comuni sopra l’80%, mentre Salerno 10 anni fa aveva raggiunto il 75% di raccolta differenziata”.  

I rifiuti urbani sono solo il 15% dei rifiuti totali – aggiunge-, il resto è composto da rifiuti dei cicli produttivi, riutilizzati per l’80%. Questo ci permette di risparmiare 23 milioni di tonnellate di petrolio all’anno, la stessa quantità di gas che prendiamo dalla Russia, e 63 milioni di tonnellate di emissione di CO2”, conclude Realacci. 

Le fonti rinnovabili 

Negli ultimi mesi sono successe tantissime cose – esordisce Gianluca Ruggieri, cofondatore di ènostra, fornitore cooperativo di elettricità acquistata da impianti sostenibili -. Abbiamo dovuto correre ai ripari per una possibile interruzione delle forniture di gas dalla Russia, e abbiamo anche dovuto affrontare il tema della riattivazione delle centrali a carbone. Contemporaneamente a questo, c’è stata anche un’enorme accelerazione nel campo della transizione energetica. Gli obiettivi dell’Unione europea erano quelli di raggiungere entro il 2020 il 20% di energia di fonti rinnovabili, e invece abbiamo raggiunto il 22%”. L’obiettivo del 2030 è passato dal 27% al 32%, al 40% mentre ora si sta discutendo di arrivare al 45% di fonti rinnovabili. “Siamo molto lontani da questo obiettivo e i tempi sono ristretti, però ci sono le condizioni per un’accelerazione. Se a tutto questo affianchiamo il tema del riscaldamento con le pompe di calore – continua Ruggieri – si sta verificando un’enorme accelerazione, a cui si contrappone però la mancanza di tecnici e progettisti, i quali stanno accelerando la formazione di nuove competenze”. 

Ruggieri individua anche una definizione di prosumer di energia: “Oggi abbiamo la consapevolezza che ciascuno di noi può essere protagonista come produttore di elettricità da fonti rinnovabili. Il prosumer è quindi un consumatore che diventa anche produttore. In Europa si stima che entro il 2050 si arriverà a produrre metà del nostro fabbisogno energetico attraverso piccoli progetti come o progetti collettivi”, conclude.

Finanza sostenibile

Se partiamo dalle dichiarazioni di Elon Musk, che sostiene che i criteri Esg sono il diavolo – interviene Claudia Segre, fondatrice e presidente di Global Thinking Foundation -, si può capire quanto il dibattito sia ampio e coinvolga soprattutto una consapevolezza comune e condivisa delle aziende e degli stati che non si può prescindere da questo impegno. Evitando il green washing e avendo un impianto di regolamentazione molto importante che si è sviluppato negli anni, a questo punto è arrivato il momento dell’azione, che parte da una finanza sostenibile, che finanzierà l’agenda 2030 e le azioni che all’interno delle aziende devono essere fatte per cambiare i modelli organizzativi e soprattutto, dopo i due anni di Covid, cercare di riportare a sé quella responsabilità individuale e sociale dei lavoratori e delle lavoratrici, che si trovano in un mondo così complesso così cambiato dove la sostenibilità non per tutti è qualcosa di chiaro”. 

La finanza sostenibile fino a 10 anni era appannaggio di pochi investitori– racconta Alfonso Del Giudice, ordinario di Finanza aziendale della Cattolica di Milano -. L’ultimo report disponibile dice che gli investimenti etichettati come sustainable ammontano a 35 miliardi di dollari. La regolamentazione è l’unica leva che può separare ciò che è veramente generatore di un impatto e cosa è lo sfruttamento di una tendenza del momento. Dobbiamo metterci in testa che questo modo di fare finanza è strutturale. Nella teoria economica e finanziaria, si è visto le imprese che performano meglio sono quelle più sostenibili, non solo relativamente all’ambiente ma anche nel modo di trattare gli stakeholder del processo produttivo, come i dipendenti e i clienti“.

L’inquinamento digitale

Di cosa si parla quando parliamo di digital pollution? Cosa significa seguire una dieta elettronica? A Wired Trends 2023 il giornalista, documentarista e autore francese Guillaume Pitron, autore del libro Inferno digitale, ha parlato l’impronta ecologica della tecnologia: “Voglio richiamare l’attenzione sul fatto che le tecnologie digitali possono rappresentare una soluzione alla crisi climatica: le possiamo impiegare nella lotta alla crisi climatica, grazie alla tecnologia digitale possiamo prevedere quali saranno gli effetti del cambiamento climatico alla fine del secolo. Per queste azioni sono uno strumento molto utile per questo. E poi, se io non avessi avuto a disposizione la tecnologia digitale avrei preso l’aereo per venire lì e l’impatto ambientale sarebbe stato molto più alto – interviene Pitron -. Dall’altra parte, le tecnologie digitali non sono virtuali. La virtualità è un’illusione. I nostri smartphone e tablet sono composti da metalli e minerali che hanno viaggiato per anni nelle miniere in Cina e negli altri paesi dove sono stati estratti. La tecnologia di Internet comprende anche i data center, una rete di cavi e altre tecnologie speciali. Quindi si tratta di infrastrutture complesse che si trovano in tutto il mondo, il che significa materialità, consumo di energia ed emissioni di CO2. Le tecnologie digitali sono responsabili oggi del 4% delle emissioni, più degli aerei. Ci stiamo muovendo sempre più verso una maggiore inquinamento dovuto alla tecnologie digitali e se non interveniamo adesso la situazione potrebbe diventare incontrollabile nei prossimi 10/20 anni“. Inoltre, Pitron pone l’attenzione su un paradosso che riguarda le nuove generazioni, le quali da una parte si ritrovano a manifestare di venerdì per la crisi climatica, ma dall’altra, i giovani tra i 18 e i 25 anni hanno già cambiato nella loro vita in media 5 smartphone. 

Il ruolo dei ghiacciai

Combattere la crisi climatica attraverso lo studio e la protezione dei ghiacciai è possibile. A Wired Trends 2023 ne hanno parlato Elena Joli, docente di fisica, science editor e autrice di Antartide. Come cambia il clima, e Pietro Cimenti, cofondatore di Glac-Up. “Ho scritto questo libro perché volevo raccontare una storia di scienza e di comunicazione delle scienze polari e del cambiamento climatico, insieme a un’esperienza umana”, racconta Joli, che ha partecipato insieme ad altre 76 donne con una formazione scientifica a una missione australiana di due mesi nelle basi scientifiche americana e inglese in Antartide. ”Abbiamo toccato con mano in cosa consistono le ricerche polari in termini di emergenza climatica, vivendo a stretto contatto con i ricercatori, e dall’altro lato ci siamo rese conto che c’è bisogno di una leadership femminile per avere una voce corale sui temi del cambiamento climatico – continua -. L’Antartide è uno dei due poli della Terra,  che può essere considerata una macchina termica: le due sorgenti fredde sono ai poli mentre la sorgente di calore è all’Equatore. Tutto ciò che accade nelle differenze di temperatura tra i poli e l’Equatore è responsabile poi della circolazione atmosferica e di quella oceanica, e quindi anche dei fenomeni climatici che noi sperimentiamo. In questo senso l’Antartide è un indicatore ecologico”, conclude Joli.

Per una missione così ambiziosa come proteggere i ghiacciai alpini da una parte ci impegniamo formando e sensibilizzando sul tema. I dati che riguardano lo scioglimento dei ghiacciai alpini li conosciamo tutti e sono spaventosi – spiega Cimenti-. Dall’altra parte, come Glac-Up, noi definiamo alcuni progetti che possono avere un valore benefico dal giorno zero. In quest’ottica il primo progetto che abbiamo lanciato è stato quello di protezione e sostegno del ghiacciaio Presena attraverso teli che vengono posti sul ghiacciaio anche nel periodo estivo e che permettono di riflettere la luce solare. Era un progetto già attivo dal 2008, portato avanti dal consorzio locale. Quello che abbiamo fatto è coinvolgere persone e aziende per esempio con workshop aziendale e ponendo attenzione sull’intero ciclo di vita dei teli. L’ultimo progetto che abbiamo lanciato parte dall’idea che non tutti i ghiacciai possono essere coperti. I ghiacciai sono luoghi meno incontaminati di quelli che potremmo pensare: i rifiuti che a causa dell’uomo sono stati lasciati negli anni nei ghiacciai oggi, a causa dello scioglimento rischiano di venire fuori ed entrare nel ciclo di diffusione dell’acqua. Quello che facciamo con Glac-up è promuovere e sostenere la pulizia dei ghiacciai anche organizzando escursioni di clean-up con aziende e partner che possono partecipare. Come ultima cosa promuoviamo con i campioni raccolti delle azioni di ricerca quantitativa e qualitativa sulle plastiche raccolte e quantitativa sulle microplastiche”, conclude.

Fonte: Wired

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